IN PRIMO PIANO

IL MUOS DI NISCEMI TRA UTILITA’ E RISCHI PER LA SALUTE
Continuano le proteste e intanto si riapre anche la questione dell’Ilva di Taranto

 È di pochi giorni fa la notizia che la Marina Navale degli Stati Uniti ha sospeso i lavori per la costruzione del Muos nella cittadina sicili
ana di Niscemi, in provincia di Caltanissetta.  Il governo statunitense ammette di aver preso questa decisione in seguito alla richiesta di interruzione dei lavori inoltrata a Marzo dalla Regione Sicilia. Sembra così conclusa, o almeno per il momento sospesa, la questione che per mesi è stata sulla bocca di tutti i siciliani, causando non pochi problemi e agitazioni. Contro la costruzione del sistema di comunicazione satellitare, di certo uno strumento bellico ad altissima efficienza e di grande utilità, sono state tante le forme di protesta, sfociate talvolta anche in  scontri violenti, che hanno visto attivisti no-Muos pronti anche a distruggere quanto era stato fino a quel momento costruito. Le proteste, nonostante l’uso della violenza non sia giustificabile ma da condannare, sono senza dubbio fondate. I controlli fatti nella zona dimostrano, infatti, che i limiti di sicurezza previsti dalla legislazione italiana con la costruzione del Muos verrebbero violati, aumentando il rischio di malattie tra la popolazione dell’intera Regione. 
È una situazione, questa, che sembra ripetersi. Proprio in questi giorni, infatti, si è riaperta la discussione riguardante l’Ilva di Taranto, l’acciaieria di proprietà della famiglia Riva che, con l’emissione di polveri sottili, ha negli ultimi anni notevolmente contribuito ad aumentare il numero di morti tra gli abitanti dei paesi vicini. Le possibili sorti dello stabilimento hanno visto contrapposti due diversi schieramenti: da un lato coloro che, guardando alle conseguenze economiche, si sono dichiarati contro la chiusura dell’azienda, asserendo che ciò causerebbe di certo un grave danno economico per l’intera penisola; dall’altro coloro che, invece, hanno continuato le proteste, difendendo la salute delle persone, esposta a grandissimi rischi dall’inquinamento prodotto dall’acciaieria. 
E allora qual è la soluzione da adottare? Di certo l’acciaieria della famiglia Riva è molto importante per l’economia del nostro Paese, così come il Muos potrebbe essere uno strumento di supporto per i militari che si trovano in missione all’estero; ma possiamo anteporre gli interessi economici alla difesa della salute? 
A noi meridionali non resta altro che lottare per difendere i nostri diritti; a meno che non si voglia accogliere il suggerimento del parlamentare leghista Borghezio e vendere  agli Stati Uniti la Sicilia e la Campania, due regioni che, a suo parere, non apportano alcune vantaggio all’Italia a causa dell’alto livello di criminalità organizzata; in questo modo i leghisti si libererebbero di noi  e gli Americani sarebbero liberi di costruire tutte le basi satellitari da loro desiderate e potrebbero anche risolvere la crisi economica che ormai da anni attanaglia il nostro Paese! 
 Alessandra Gaudiano







Ciclista, professore e cos’altro?


A quanti di voi sarà capitato di percorrere la tratta Bisacquino–Corleone alle 8 del mattino o al ritorno alle 2 del pomeriggio avrà sicuramente notato un uomo, un professore che, giorno per giorno, fa quel pezzo di strada con la sua bicicletta per arrivare da Palermo, dove vive, fino a Bisacquino, in cui invece lavora. E scommetto che quanti di voi l’hanno visto si saranno posti molte domande: cosa fa? Perché lo fa? Non avrà freddo poverino? La curiosità su questo personaggio è molta e, proprio per questo motivo, Il Triona ha deciso di parlare direttamente con lui per conoscere finalmente la vera storia di questo professore, visto che di storie sul suo conto se ne sono sentite proprio tante...ma chissà, fra queste, qual è quella vera. L’uomo del mistero si chiama Francesco Caruso (Ciccio per gli amici) e sappiamo per certo che lavora come insegnante di sostegno nell’Istituto Agrario di Bisacquino, lavoro che ama e che lo soddisfa. Tutto quello a cui si dedica in questo periodo, oltre al suo lavoro, sono gli studi: dopo avere infatti conseguito una laurea in scienze motorie e in psicologia, sta studiando per specializzarsi. Generalmente si vedono molti ciclisti percorrere lo stesso tratto di strada, ma la cosa sorprendente è che lui lo fa ogni mattina per recarsi al lavoro, così ostinato e deciso sul suo percorso da non volere accettare alcun passaggio. “E’ come se ti disturbassero e ti offrissero una mano mentre stai studiando la tua materia preferita, tu cosa faresti? Ringrazieresti per l’aiuto offerto ma continueresti da sola, senza cercare scorciatoie” ha risposto il professore alla mia domanda circa i passaggi. Un tipo stravagante, devo dire, molto particolare. Pensate che tutto è cominciato quando, il primo giorno di lavoro, vedendo che era una bella giornata di sole, ha deciso di andare...in bici! E così ha continuato giorno dopo giorno: c’è una bella giornata? Vado in bicicletta; anche oggi il tempo è favorevole? Vado in bicicletta. Cosa che si è protratta anche con l’arrivo delle prime giornate piovose che, a dispetto di quanto tutti avrebbero potuto pensare, non lo hanno minimamente intimorito. Un uomo molto, troppo sicuro: lui stesso ha ammesso di aver sbagliato strada una volta, occasione per la quale fu “salvato” da un uomo che lo ha scortato con il suo trattore fino a Corleone; ma la sua sicurezza è realmente diminuita quella volta in cui, a causa della strada ghiacciata, è scivolato finendo proprio in mezzo alla strada con il rischio di essere investito. “Quella volta mi sono detto: caspita cosa ho fatto? Potevo realmente morire. E così ho capito di non essere immortale” ha ammesso Caruso ricordando l’episodio. Per arrivare puntuale a scuola, deve alzarsi prima dell’alba e mangiare un piatto di pasta per potere affrontare la pedalata di ben 4 ore; arrivato a scuola, per essere impeccabile a lavoro, fa una doccia, toglie gli abiti da ciclista e indossa quelli da professore. Prima delle fine delle lezioni si ricarica con un bel piatto di riso per poi ripartire alla volta di 3 ore di strada. “Sinceramente non mi aspettavo che la mia storia avrebbe potuto suscitare così tanto scalpore” ha affermato stupito il professore “ma non posso nascondere il mio piacere nell’osservare quanto le persone si siano affezionate alla mia storia. Pensa che mi hanno pure regalato una Santina da portare sempre con me: una protezione dall’alto è sempre comoda!”. È ormai diventato un rito salutarlo quando lo si incontra per strada “e la cosa mi fa davvero piacere: tutti quei saluti e clacson mi danno la forza per continuare ad andar avanti” ammette ancora il professore. Un esempio di green economy? Un modo per tenersi in forma spendendo poco? Tutti aspetti positivi per la società, ma quello che vorrei portare sotto la vostra attenzione è proprio la caparbietà con la quale sta continuando imperterrito il suo cammino, dimostrandoci che, munendoci di tanta buona volontà e testardaggine, possiamo raggiungere anche gli obbiettivi più ardui, se si è realmente motivati. E’ quindi quasi evidente che tutto questo deve avere una motivazione vera, molto più forte di un semplice amore per le bici...ma certe rivelazioni sono troppo personali da scrivere su un giornale che sarà letto da molte persone. Allora, miei cari bisacquinesi e non solo, continuate pure a fantasticare sul suo conto, ma chissà chi di voi riuscirà ad arrivare o ad avvicinarsi alla verità.

Rossana Ragusa





EPPURE NON CI SERVE LA PAROLA
Breve riflessione sulla libertà d’espressione

Uno degli effetti della diffusione di Internet è stata certamente la proliferazione di blog, forum e affini, grazie ai quali spesso di un fatto si può intravedere uno scorcio di verità maggiore rispetto a quanto proposto da tv e giornali. Si può affermare, quindi, che la Rete ha permesso di aprire gli occhi sulla realtà, divenendo quel porto franco dell’informazione in cui ognuno può dire la propria, senza il bavaglio di censure o pressioni di alcun genere.
Si chiama, questa, libertà d’espressione. È una locuzione che non piace ai potenti, ma anche a quanti pensano che sia importante dire le cose come stanno basta che queste cose a dirle siano loro. Per molti è un male necessario affinché si possa, sotto la coltre dell’apparenza, continuare a fare tutto il contrario di ciò che si ostenta a parole. Per pochi è quello che dovrebbe essere: un modo per far sentire la propria voce e dire che esistono, producono idee, guardano il mondo e non vivono solo perché respirano e si nutrono.
Eppure non ci serve la parola. Troppo facile tranciare giudizi e sfornare consigli come quel Gesù nel tempio che ci riporta alla mente uno che ha fatto della musica la sua personale libertà d’espressione, il grande Faber. Troppo comodo vedere nelle azioni altrui e ancor più in ciò che l’altro scrive una minaccia verso gli interessi propri e usare il bastone del comando e la carota del buonismo per intimorire e ammansire chi osa pronunciare una sillaba diversa da quella prevista dal copione. Troppo bello, infine, far tacere le coscienze di fronte al quieto vivere. Per tutto questo, non serve la parola.
La parola è indispensabile solo se si vuole far restare le cose come sono, ma se si vuole cambiare davvero quella porzione di mondo che abitiamo sono necessari gli esempi. Ma come fare, se nessuno è esente dall’errore e se dietro l’angolo si cela il passo falso? Ecco, proprio questo: partendo dal passo falso bisogna rimettersi a marciare perché non è che la strada si ferma e non è che il cammino finisce se qualcosa blocca il nostro andare. Il tragitto è lungo, il fiato è corto, la vista è appannata, ma tu vai, te lo impone il tuo istinto a vivere.
Ecco, “il Triona” non è altro che il contenitore di idee di giovani che usano la parola e si aspettano degli esempi da chi ha responsabilità, senza dimenticare quanto siano responsabili già essi stessi quando, scrivendo, si mettono in gioco. Sanno che non sono utili a nessuno articoli pieni di offese, di rabbia, di giochetti di prestigio verbali da gettare in pasto alle polemiche, offrendo il fianco ai guerrafondai di professione. Che sono tanti, bene armati e ottimi strateghi.
Questo bollettino di quattro pagine, dunque, rifiuta la violenza verbale, non da spazio a ciò che può risultare offensivo o immorale, non è politicamente di parte. Queste sono le sue linee guida. Ma sono quattro pagine che tentano di creare un varco tra le coscienze grette di quanti vorrebbero che il mondo fosse plasmabile a loro piacimento, non il mosaico che si compone perché fatto da tanti con idee, fortunatamente, differenti.
Sì, quando si agisce per costruire piuttosto che per distruggere, per garantire invece che per escludere non ci serve la parola. Può essere utile anche il silenzio, o un foglio bianco: del resto, anche queste sono forme della libertà d’espressione. E perfino un’eco lo è, solo un po’ più lontana, un po’ più sfocata, sospesa tra la parola e il vuoto che la segue in quest’universo inesplorabile che è il nostro essere.

Pietro Fischietti




Impressioni di Settembre

Sembrano passati secoli, ma sono trascorsi solo dieci anni. Era il settembre 2002 e da Bisacquino ogni mattina si muovevano intere comitive di ragazzi per raggiungere le vigne di paesi lontani o dei dintorni. Era tutto un salutarsi all’alba, ancora addormentati e infreddoliti, una lenta processione tra i filari, fra la rugiada del mattino e il sole via via più rovente nel progredire del giorno, poi l’esodo serale, stanchi ma soddisfatti.
Per molti era un primo passo nel mondo del lavoro, un modo per guadagnare qualcosa da spendere in vestiti e divertimenti durante l’anno scolastico o per mettere da parte la somma necessaria per comprare più in là qualcosa di più serio. E perciò si sopportavano la fatica, le immancabili battute, le mani annerite dalle centinaia di grappoli recisi dai tralci… Ma era un’opportunità unica di socializzare, forgiare il carattere, mettere alla prova la propria resistenza e la capacità di cooperare.
In quei primi del settembre 2002 nel mare tra Ustica e Palermo si verificò una scossa, ed essa, o forse più che altro la sua eco, si avvertì fino a Bisacquino. Molti ragazzi all’alba si riunirono per andare a vendemmiare, commentando l’evento. Qualcuno, che al massimo aveva sentito parlare i genitori del terremoto del Belice, si azzardò a dire che era un avvenimento epocale, quasi una cesura con la storia di prima.
Forse aveva ragione, ma sbagliava l’oggetto di quella cesura.
L’anno successivo cominciarono a spuntare un po’ ovunque le macchine vendemmiatrici, più veloci ed economiche, efficienti come sono tutti i mezzi che non hanno un cuore. Le vigne, da allora, iniziarono a perdere le grida dei ragazzi, le loro canzoni. Qualche anno dopo, le persero definitivamente. Si chiuse, davvero, un’epoca.
Sembrano passati secoli, ma sono trascorsi solo dieci anni, dicevamo. La poesia agreste della vendemmia si è esaurita, inaridita da meri calcoli economici. Intere generazioni di ragazzini non sanno nemmeno che significa chinare la schiena lungo un filare. Il vino non è più il frutto del sudore, è un liquido bianco o rosso che si compra in bottiglie eleganti o dentro recipienti scadenti.
Come una crepa aperta nel terreno, quella scossa ha scavato un solco tra un prima e un dopo. Tra un tempo di belle esperienze e un tempo di tedio e sopore. E forse si è perso il gusto delle emozioni.
Pietro Fischietti




Quando le riforme pregiudicano il diritto
Giù le forbici dalla giustizia!

Sin dall’antichità l’uomo, iniziando a costituirsi in società, ha sentito il bisogno di imporsi delle regole per consentire una buona convivenza civile; sono nate, così, le prime leggi.
L’antica Roma è stata la culla del diritto. Sui principi giuridici creati dal diritto romano si basa, infatti, il diritto moderno. Oggi in Italia vi è un numero molto elevato di norme giuridiche, che regolano i rapporti privati tra i cittadini e quelli pubblici tra lo Stato e i cittadini. A garanzia della corretta applicazione delle leggi lo Stato ha creato la magistratura, dislocando in tutto il territorio  della penisola diversi uffici giudiziari, uno dei quali è il Tribunale di Corleone, che ha giurisdizione su Corleone e su altri venti paesi limitrofi, tra i quali Bisacquino. Di certo la presenza di tale Tribunale nel nostro territorio è molto importante, considerato che consente ai cittadini di poter richiedere e ottenere giustizia senza doversi allontanare troppo dal proprio paese.
Ma con la legge numero 148 del 14 Settembre 2011 il Parlamento ha delegato il Governo “ad adottare entro dodici mesi [...] uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza”. Tale normativa comporterà la chiusura e la soppressione di molti tribunali e di sezioni distaccate degli stessi dislocati nel nostro territorio, unitamente alla diminuzione degli uffici del Giudice di Pace. Rischiano, così, di venire soppressi anche la sezione distaccata di Tribunale e l’ufficio del Giudice di Pace di Corleone. Una tale evenienza sarà sicuramente di grave disagio per tutta la popolazione del Corleonese, che per avere giustizia, anche per le questioni di minore rilievo, sarà costretta a spostarsi fino a Termini Imerese, con notevoli costi sia di carattere economico che in termini di tempo.
È vero che, come afferma il ministro della giustizia Severino, il risparmio previsto dovrebbe essere di circa 70-80 milioni di euro l’anno, e questa è di certo una cifra considerevole, se si tiene conto della difficile situazione italiana al momento; ma qual è il prezzo da pagare? Si è davvero disposti a risparmiare quando si parla di giustizia? Sicuramente tanti cittadini saranno portati a rinunciare al diritto alla giustizia per evitare i disagi e i costi di una trasferta.
È da augurarsi che gli amministratori dei comuni del Corleonese e tutti gli operatori della giustizia prendano coscienza della gravità di tale situazione e si mobilitino, attraverso opportune manifestazioni, al fine di segnalare agli organi istituzionali nazionali che è sì necessaria, in questo periodo di crisi, una riforma economica, ma è pur vero che questa non può e non deve colpire settori essenziali per la comunità, quali l’istruzione, la sanità e la giustizia.
Alessandra Gaudiano



Riusciremo mai a risemantizzare l’accezione dell’aggettivo “popolare” cui tanto additiamo quando si parla del volgo e della sua cultura?

“L'ignoranza fa scena, l'intelletto che scema, stiamo cadendo di schiena o è sola una posa?”

Menti chiuse, pregiudizi, etichette, zuffe: queste le voci correlate all’ignoranza popolare.

Siamo nati entro la realtà popolare, e forse siamo assuefatti a essa. Eccettuando termini quali “tradizione” e “cultura”, l’aggettivo “popolare” a quale sostantivo lo possiamo attribuire? Parola chiave: ignoranza.  Molti la denunciano, tanti la criticano, gran parte la possiede, il resto ci convive. Puntualmente si registrano atteggiamenti, ragionamenti, concezioni che sono frutto di una realtà popolare caratterizzata da un fattore determinante quale è la predetta ignoranza. Un popolo ignorante è un popolo affetto da una paralisi culturale, sociale ed economica. La scuola e le relative misure nel campo dell’istruzione appaiono vane, inefficaci, improduttive. Forse si ha davanti una non-voglia di conoscere, un non-desiderio di sapere, una scarsa curiosità, un estremo disinteresse. Ne deriva una popolazione immobile culturalmente dalla quale possiamo trarre tutte le conseguenze. Siamo cresciuti con schemi mentali fondati su pregiudizi obsoleti e ci hanno inculcato classifiche, categorie, generi ed etichette. Prima di scendere in piazza, si deve essere pronti alla posizione della nostra scala sociale e ad eventuali reati commessi, per aspettarsi, infine, la sententia popolare. Il popolo e i suoi giudizi hanno chiuso le porte all’evoluzione e vivono nell’anacronia. I diverbi quotidiani si trasformano in zuffe, costellate da urla acute, bestemmie, infamie, improperi. Allora l’ignoranza diventa, per forza di cose, inciviltà, incultura, violenza, dettate da maleducazione, rozzezza, villania. Il gossip è all’ordine del giorno e gode di ubiquità; è onnipresente: case, chiese, scuole, cortili, quartieri. Quali le possibili soluzioni? Dobbiamo combattere l’arretratezza e la disinformazione ponendo particolare attenzione all’istruzione. Dobbiamo dare vita a una nuova cultura sia in senso qualitativo, perché più libera e aperta di quella tradizionale, sia in senso quantitativo, perché estesa all’intero popolo.
Bianca Rumore


Tagli alla scuola, tagli al futuro.


La crisi. Tutti ne parlano e tutti la vivono. Il governo, non potendo sostenere tutte le spese che il nostro Stato esige, taglia ciò che è inutile, superfluo, quello che non serve alla popolazione. Ma i nostri rappresentanti sono davvero così giudiziosi nello scindere il giusto dallo sbagliato, il necessario dall’inutile? L’istruzione, per lo Stato italiano, a quale categoria appartiene? E’ davvero essenziale istruire gli italiani? La risposta a quest’ultima domanda sembrerebbe lampante: è naturale, a meno che i capi del governo non vogliano avere a che fare con esseri ignoranti da muovere a proprio piacimento come se fossero delle pedine. Sono i giovani il futuro del nostro Paese, ed è proprio su loro e la loro istruzione che lo Stato dovrebbe puntare, formandoli e indirizzandoli verso un futuro stabile, sicuro e non precario e incerto, come quello che si vive e si delinea. Dai prospetti del DEF (Decisione di Economia e Finanza) risultano 13,5 miliardi di tagli alla scuola italiana per i prossimi tre anni, una cifra enorme, che il Ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini giustifica definendoli “semplici spese minori”. Ed è proprio per questo motivo che un numero significativo di persone si ritrova senza lavoro: insegnanti o lavoratori del personale ATA, padri e madri di famiglia o giovani che tentano di costruirsene una propria. Ma non sono solo queste persone a trarre uno svantaggio dai tagli, ne risentono infatti anche gli studenti, vedendosi privati della possibilità di ampliare la propria conoscenza con laboratori o viaggi. “Mancano i fondi” ci si sente dire, e studenti e insegnanti si ritrovano a lavorare demotivati, demoralizzati da una situazione così disastrosa. Ovviamente anche Bisacquino e tutti i paesi limitrofi sono stati toccati dai tagli: classi e istituti accorpati, docenti che perdono il lavoro, altri che si ritrovano a insegnare apaticamente senza avere la possibilità di avanzare alcuna proposta in quanto essa viene stroncata sul nascere. E’ davvero possibile che tocchi agli allievi fornirsi del materiale necessario per lavori di classe o che i docenti stampino le verifiche a casa perché la scuola non ha carta o cartucce? Se la scuola non è in grado di portare avanti queste spese, che, in fin dei conti, sono delle piccolezze, come è possibile anche solamente pensare a qualcosa di più grande e, soprattutto, di più costoso? Intanto il numero delle opportunità date nelle scuole agli studenti diminuisce anno dopo anno e i ragazzi, qualora volessero affrontare una nuova esperienza, si vedrebbero costretti a provvedere con il proprio denaro. Le tasse scolastiche aumentano, il costo dei libri, dei materiali necessari aumenta e i tempi si fanno sempre più duri; sono migliaia i ragazzi che rinunciano allo studio per aiutare i propri genitori a far fronte alle spese … L’istruzione resterà un diritto o diverrà un lusso per pochi?
Rossana Ragusa  





Da Scandicci un nuovo modello d'estate

Lealtà, giustizia, onestà, amicizia. È questo che si è letto negli occhi dei circa trecento ragazzi che dal 21 al 26 Luglio si sono riuniti a Scandicci, in provincia di Firenze, per il Secondo Raduno Nazionale dei giovani di Libera, un’associazione di associazioni, che si occupa di combattere le mafie, il riciclaggio e qualsiasi altra forma di illegalità attraverso la promozione di attività “pulite”, quali lo sport, il lavoro nei terreni confiscati alla mafia e l’informazione. Una settimana di congressi, dibattiti, teatro, musica. Ma soprattutto una settimana di festa, “una festa dell’impegno e della responsabilità”, come afferma Don Ciotti, presidente di Libera. Nella città toscana i giovani di tutta Italia si sono incontrati e confrontati, impegnandosi insieme a far qualcosa di utile per la nostra società, qualcosa che si distacchi dall’idea comune dell’estate giovanile, intesa come TV, social network e alcool. Questi giovani hanno dimostrato che dell’estate si può fare un tempo di crescita e, contemporaneamente,  di divertimento, insieme a tutti gli altri che sono stanchi di sentire questi mesi etichettati unicamente come “stagione di sbornie”. Ed ecco allora come aumenta la richiesta di volontariato estivo da parte dei ragazzi, insieme alla nascita di numerose associazioni giovanili che fanno dell’estate il periodo di massima attività. E per evitare di ricadere nella noia e nell’apatia si può andare alla scoperta della bellezza di un libro, delle chiacchierate con gli amici, delle lunghe passeggiate, dei pomeriggi afosi passati al mare. Così i ragazzi possono facilmente sfuggire al richiamo dell’alcool e della dissolutezza, per dedicarsi a quelli che sono i veri valori della gioventù: la cultura, l’impegno sociale e l’amicizia.
Alessandra Gaudiano