MONTAGNE RUSSE? ARRIVANO ANCHE DA NOI!
Gratuitamente il brivido sulle nostre
strade!
Percorrendola senti lo
stomaco scombussolato. Con tutti quei sali e scendi, quei sobbalzi, pensi che
fra poco darai di stomaco. Più alta è la velocità, più ti senti male, provi
sollievo solo rallentando. Pensate che io stia parlando delle montagne russe di
un luna park? Un luna park a Bisacquino? Mai visto! Sto parlando piuttosto
della strada Bisacquino-Corleone. Sì perché, percorrendo questo tratto, ci si
sente proprio come sulle montagne russe. Troppi i dossi, le cunette e le buche,
troppi i cedimenti dell’asfalto. Le piogge quest’inverno non hanno dato tregua
ai nostri paesi, il terreno ne ha risentito e il risultato è evidente:
allarmante il numero delle frane. Questa strada ha una notevole importanza per
i nostri paesi: permette, infatti, di raggiungere in breve tempo Corleone senza
dover ricorrere a strade secondarie. Numerosissimi sono gli utenti che
percorrono questo tratto per motivi lavorativi e non solo e le sue attuali
condizioni non possono che preoccupare la popolazione. Considerando, infatti,
alcuni tratti, sembra proprio che la situazione stia peggiorando giorno dopo
giorno. Alcuni cedimenti sembrano estendersi sempre più con il rischio di
bloccare l’intera strada. Al momento gli unici interventi (ovvero coprire le
buche con del pietrisco) sono stati del tutto inutili, se non ulteriormente
dannevoli. Per non parlare della Corleone-San Cipirello-Partinico totalmente
franata questo inverno. Questa frana ha costituito un enorme problema per
moltissime persone, specie per tutti coloro i quali, per motivi di salute,
vista la chiusura temporanea di alcuni reparti dell’ospedale di Corleone, sono
costretti a recarsi a Partinico, allungando il percorso da compiere di moltissimi
km. Tutto ciò con il rischio di eventuali complicazioni lungo il tragitto, nel
caso di pazienti in gravi condizioni. E che dire delle future partorienti che
alla fine dell’anno (data in cui il punto nascita di Corleone potrebbe essere
chiuso) dovranno partire alla volta di una vera e propria odissea verso
Partinico con il pericolo di partorire per strada? Stiamo correndo il rischio
di restare isolati a causa del malfunzionamento delle vie di comunicazione, situazione
in cui, un territorio come il nostro, dove l’agricoltura e il turismo
potrebbero essere punti di forza per la ripresa della sua economia, non può
assolutamente trovarsi. Che sia un invito a emigrare verso le città? Sì, perché
in un paese in cui la popolazione è privata dei diritti alla salute e al
lavoro, non è un paese in cui è possibile vivere. Quest’articolo vuole essere
un monito ai nostri politici che, invece di sperperare il nostro denaro per
piste ciclabili (costruite circa tre anni fa e adesso tutte franate) o per un
tratto di strada a tre corsie (come la Corleone-Ficuzza) potrebbero destinarli
al rifacimento del manto di strade statali come quelle sovra citate!
ROSSANA RAGUSA
“NATO A CORLEONE…”
Chiude
il “punto nascita” di Corleone
Si prende sempre maggiore atto delle notizia della
chiusura del “punto nascita” di Corleone. Alla fine del mese di marzo circa
arriva, infatti, la decisione di mantenere in vita in Sicilia solo i “punti
nascita” di Lipari, Pantelleria, Mistretta, Nicosia, Bronte, Mussomeli e Santo
Stefano di Quisquina. Nonostante in queste strutture si contino meno di 500
parti l’anno, vengono dichiarate come “isolate territorialmente” e viene
dichiarata “la difficoltà di trasferimento dei pazienti alle strutture
ostetrico-ginecologiche più vicine”, lo stesso però non vale per la struttura
nel Corleonese.
Il provvedimento ha creato diversi malumori e
la mobilitazione dei cittadini, pronti a scendere in piazza per manifestare e difendere
il loro diritto alla vita. La decisione adottata a Palazzo d’Orleans spiazza
l’intera comunità che proprio dal presidente Crocetta, venuto in visita nella
città di Corleone, aveva ricevuto delle rassicurazioni. La chiusura del “punto
nascita” non agevolerà, inoltre, le partorienti non solo del comune di Corleone
ma anche e soprattutto dei 20 paesi limitrofi (ex Usl 53 di Corleone
ed ex Usl 54 di Lercara Friddi) quali Giuliana, Chiusa Sclafani,
Bisacquino, Campofiorito, Palazzo Adriano e tanti altri, che dovranno
raggiungere l’ospedale di Partinico distante dai 45 ai 100-120 km con una
strada tutta curve e collegamenti viari fatiscenti (attualmente è addirittura
interrotta la SP 4 Corleone-S. Cipirrello a causa di una frana).
La posta in palio è alta come pure gli
interessi in gioco, primo fra tutti quello di aumentare i rischi per la salute
e la sicurezza di molte donne e bambini e salvare il territorio del Corleonese
da un irrimediabile impoverimento e da un conseguente isolamento. E il resto
viene da sé: cosa accadrà domani? La
chiusura del punto nascita annuncia, ovviamente, la chiusura dell’intera
struttura ospedaliera. Il prezzo da pagare diventa quindi l’oblio
inevitabile dei nostri comuni dell’entroterra siciliano, e poco conta il
cammino di riscatto sociale e di riqualificazione del territorio intrapreso fin
qui.
Nell’attesa, diverse audizioni, incontri e Consigli
comunali straordinari sono stati indetti ed è nato un comitato di lotta affinché si eviti la
perdita di un reparto che era diventato la punta di diamante dell’ospedale dei
Bianchi di Corleone: ora più che mai si fa sentire una lotta comune per il
diritto alla salute ed alla vita.
Vincenza Nicolosi
La Chiesa , ricca o
povera?
Il nuovo Papa,
eletto a grande maggioranza, si è presentato in tutta la sua umiltà e simpatia,
accattivandosi da subito il consenso della Cristianità, in contrasto, comunque,
con il grande sfarzo del Conclave in cui è stato eletto, con i Cardinali
riccamente adornati e in un ambiente maestoso come quello della Cappella
Sistina del grande Michelangelo. Questo ci riporta alla domanda di sempre: la
Chiesa deve essere ricca o povera ?
Al riguardo ci
sono diverse scuole di pensiero, tra cui quella dei Francescani, da sempre
contrari alle ricchezze terrene della Chiesa, e quella degli altri che, al
contrario, ne sostengono la ricchezza .
I Francescani
, seguaci di San Francesco, sono convinti, così come il fondatore dell’Ordine
stesso che rinunciò a tutte le sue ricchezze,
che Gesù ha predicato la povertà
come mezzo per il raggiungimento della
beatitudine: non per niente, ha profetizzato che sarebbe stato più facile per un cammello
entrare nella cruna di un ago che per un ricco nel Regno dei Cieli. Povertà
anche come mezzo di espiazione di peccati commessi e come forma di pentimento,
rinuncia alla proprietà come mezzo per
evitare avidità e avarizia, principali responsabili del peccato. Questo
principio di povertà, sia singola che collettiva, fu sancito dal Capitolo di
Perugia già nel 1322 da Michele da Cesena, Ministro generale dell’Ordine dei
Frati Minori e da tutti i partecipanti, ma trovò strenua opposizione da parte
del papa Giovanni XXII.
Ma perché Giovanni XXII cercava di screditare l’aspirazione
francescana alla povertà ? Forse per rivalutare l’immagine di una Chiesa dedita
all’arricchimento ed ai lussi similmente ad un impero temporale?
Oggi gli
assertori della ricchezza della Chiesa basano il loro pensiero su alcune motivazioni di ordine pratico ma
anche estetiche e spirituali. Per
svolgere il lavoro di evangelizzazione e diffusione di quella che credono sia
verità assoluta è necessario disporre di mezzi adeguati allo scopo di poter raggiungere tutte le regioni del mondo,
e questa è una motivazione pratica ma, nello stesso tempo, essere a contatto col bello (sia
esso in natura che creato artificialmente) ingentilisce l’animo e induce alla
spiritualità, alla voglia di donare e quindi, tanto più importante e ricco è l’oggetto
che si dona, maggiore è l’importanza di chi lo riceve (tanto più se si dona
alla divinità che sicuramente è il
soggetto più importante); vedere un oggetto nella sua forma, nel suo splendore,
nella sua essenza e che suscita emozioni, non è importante solo per l’effetto che produce, ma fa pensare alla
causa prima, alla sua creazione che non può che avere un unico signore e
padrone, quello che considerano il Massimo Fattore.
Certo sono due
tesi che sembrano in contrasto, ma nella loro vera essenza sono molto vicine
perché hanno come scopo la magnificazione del divino, solo che seguono strade
in contrapposizione fra loro, la prima attraverso l’evangelizzazione, l’umiltà
e la spiritualità, la seconda con l’esaltazione di quel bello che induce
all’estasi dei sensi e, per mezzo della ricchezza, con l’estensione della
rivelazione al mondo intero attraverso la catechesi.
Il voto di
povertà però, pur nella sua grande valenza di umiltà e spiritualità, e proprio
per la rinuncia della proprietà, produce mancanza di progresso e arretratezza e la ricchezza, viceversa, induce ad eccesso di progresso ed alle
deviazioni suscitando eccessivi desideri di possesso che allontanano dalla
strada maestra.
Qui si comincia a fare fatica a capire. Ed allora, quale strada seguire?
Esiste una
terza via che contempli un voto di povertà che, sicuramente, avvii l’anima
verso un percorso spirituale, senza per questo dover rinunciare al progresso
che certamente migliora le condizioni di vita degli uomini e che, comunque, non
produca devianze devastanti come avidità, avarizia e nequizie varie?
Per auspicare
questa terza via non credo sia necessario essere cattolici e credenti e non
credo che tutto si possa esaurire con il concetto di ricchezza e povertà, ma
bisogna avere buon senso e rispetto per la condizione umana, credere
nell’uguaglianza tra gli uomini, ascoltare e cercare di capire le motivazioni
degli altri e, comunque, rispettarle anche se sono contrarie alle nostre,
essere coerenti con ciò che si pensa rinunciando a quei piccoli privilegi che
inducono all’avidità ed alla aridità dell’animo umano.
La nostra
breve vita si concluderà in fretta e di noi resterà quello che abbiamo fatto e
quanto siamo riusciti ad emozionare e a donare di noi stessi e non le nostre
ricchezze !
Valerio
Scibetta
RISOLVERE LA CRISI CON IL LAVORO GRIGIO E LA COSCIENZA “POLITICA”
Oggi è difficile non notare come vi siano
deficienze nei sistemi finanziari ed economici i quali dovrebbero solo produrre
in progressività e invece, grazie alla politica e al perenne sonno dei
cittadini, sono incapaci di organizzarsi in indipendenza e attivamente, secondo
un pensiero che sia uno. Siamo arrivati davvero al ridicolo, come nel caso di
Giancarlo Giorgi, 72 anni, modello di piccolo imprenditore brianzolo, che rischia
di chiudere due ditte con 28 dipendenti nella zona industriale di Concorezzo. Il
motivo? Nonostante un fatturato da 7 milioni di euro e una forte propensione
all’export, ha avuto un problema con la propria banca: subìto un buco
momentaneo da 50.000 € lo ha presto tappato con una garanzia di 200.000 €, ma
alla banca ciò non è bastato ed egli è stato segnalato alla Banca d'Italia la
quale, da procedura, lo ha segnalato alla “rete bancaria” che coalizzandosi non
fornirà mai più i propri servizi alla sua azienda… Risultato? Fallimento
assicurato!
La notizia apparsa in un sito di nicchia, non
dovrebbe essere invece trattata in maniera più diffusa e responsabile
dall'opinione pubblica? O ciò che conta è sapere al TG cosa mangia a cena
Balotelli? Perché non legalizzare semplicemente “il lavoro grigio”? Ovvero: se un'azienda ha problemi economici o è
in una fase critica dimostrabile, non potrebbe comunque essere possibile che lo
Stato per un periodo determinato cessi di riscuotere le tasse riguardanti i
contributi lavorativi da essa, affinché si riadatti al mercato, cresca e
soprattutto assuma nuovo personale produttivo a tempo determinato e non (magari
come clausola)? Esiste altro rimedio
alla crisi se non intervenire sulle imprese e sul lavoro, incentivando i
consumi e la propensione all'innovazione (altra possibile clausola)?
No, non è possibile tutto questo. La politica ha
di certo materiale più serio da proporre alle alte sfere del potere, tutti oggi
ci accorgiamo infatti come sia stato difficile per l'attuale politica concentrarsi
sulle poltrone e decidere i posti di comando! Non sarebbe l'ora di farci
sentire? Insomma, non è meglio tutelare un'azienda produttiva in un momento di
crisi piuttosto che farla fallire subito generando gravosi e peggiori costi
sociali ed economici? Lo Stato perché dovrebbe richiedere tasse ad un'impresa
in difficoltà, col solo fine di distruggerla? Ciò è antieconomico! Se il carico
fiscale non si razionalizzasse in vista della crisi, a volte cessando la
propria presenza in cambio di investimenti da parte dell'azienda stessa, si perderebbe
tutta l'ottica e la logica economica! Invece, se l'esenzione tutelasse e
incubasse l'impresa in un passaggio difficile sul mercato, ciò sarebbe già un
investimento indiretto da parte dello Stato, avendo salvato un'impresa nel
territorio, posti di lavoro che aumenterebbero e incentivato innovazione e
consumi, contro ogni rischio di recessione! Sembra utopia ma la realtà è assai
più incredibile: lo Stato qui difende solo chi ha più soldi e amicizie
sottobanco! Esiste la buona politica lontana dai doppi fini e “vicina” solo al
popolo sovrano? Forse no, ma resteremo a guardare mentre ci governano dei
burattinai? Fino ad oggi, sono stati negati (tramite anche omissioni dei
legislatori) alcuni articoli della Costituzione e si è lesa la dignità del
popolo italiano oltre che la sua intelligenza, buona fede e pazienza;
ricordiamoci alcuni nostri articoli:
Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e
sono eguali davanti alla legge, senza istinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale
del Paese.
Art. 28.
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli
enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e
amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la
responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
E si potrebbe continuare…
Antonino Ferina
VITA DA PENDOLARI…
Alzarsi presto la mattina, aspettare sotto il sole o la pioggia gli autobus che ritardano, conformare i propri orari con quelli delle corse offerte dalle varie ditte: la vita da pendolari non è di certo facile, se consideriamo tutti questi aspetti, ma sarebbe ancora peggiore se non ci fosse il servizio di trasporto pubblico. Ogni giorno sono tantissime le persone che ne usufruiscono, per andare a scuola o a lavoro, sia nelle grandi città, in cui spostarsi in macchina diventerebbe un’odissea a causa del traffico, sia nei piccoli paesini, da cui ci si deve muovere necessariamente per lavoro o per impegni scolastici. Eppure, nonostante la vita di molti sarebbe ancora più difficile senza di essi, i trasporti pubblici non sono del tutto efficienti, anzi, viaggiare in autobus diventa a volte un vero e proprio incubo. E a subirne le maggiori conseguenze sono, come sempre, gli studenti, che ogni mattina devono spostarsi da un paese ad un altro per poter frequentare il liceo o l’istituto professionale da loro scelto. Gli autobus a loro destinati senza dubbio non sono appena usciti dalla concessionaria: dei “rottami”, potremmo definirli, che si rompono con una periodicità allarmante e in cui, in caso di pioggia, bisogna stare con gli ombrelli aperti per evitare di bagnarsi a causa dell’acqua che entra dentro. E come se già tutto ciò non bastasse i disagi non sono ancora finiti. Le corse e le lotte per poter accaparrarsi un posto a sedere sono ormai diventate una routine, considerato che nessuno tra gli studenti vorrebbe mai fare tutto il viaggio in piedi, o, ancor peggio, essere costretto a rimanere a terra per aspettare l’autobus successivo.
Eppure non sarebbe poi così difficile e gravoso per le ditte di trasporto pubblico migliorare i loro servizi; di certo autobus nuovi e funzionali, orari rispettati e, magari, qualche corsa in più contribuirebbero a rendere meno pesanti le giornate da pendolari!
Alessandra Gaudiano
QUEST’UOMO E’ IL PAPA
C’è un anziano vestito di bianco, si affaccia ad una finestra e guarda lontano. Ha occhi che scrutano l’orizzonte e un sorriso che viene da dentro. Non si ferma a pensare a tutto ciò che lascia, quello che adesso gli importa è quella stanza remota dove poter scrivere e meditare. Sa che il mondo lo giudica, ma non per questo ci ripensa, vuole camminare verso il suo destino, che è lo stesso di ogni altro uomo.
Lui, però, non è uno qualunque. Quest’uomo benedice la Città e il Mondo e incarna un potere che non soggioga ma rende ognuno più libero quanto più ad esso si avvince. Per questo non potrebbe, o meglio non dovrebbe, lasciare la missione che il Cielo gli ha assegnato, e che lui ha accettato con spirito d’ubbidienza e d’umiltà. Già, l’umiltà, questa sconosciuta, oggigiorno.
Umile è chi si avvicina alla terra, ma lui ha pensieri alati, come quello che scrive. Nondimeno, sa che è fatto di nervi, ossa e sangue, e sente che il suo piede vacilla, il suo passo è più stanco, la sua vista più spenta. Per la Chiesa lui, questo anziano, è un uomo assiso su un trono, ma la Chiesa non ha bisogno di un re, quello che alcuni vorrebbero che fosse.
E invece lui, pian piano, chiude la finestra, scende la scale, va via, senza rimpianti. Un bambino lo vede, lo addita alla madre e chiede chi è, questo anziano vestito di bianco.
Quest’uomo – lei dice – è il Papa.
Pietro Fischietti
Democrazia e politica
Il termine democrazia deriva dal greco ed etimologicamente significa governo del popolo.
Il 2 giugno 1946 il popolo italiano, attraverso un referendum popolare, decise la forma di governo che preferiva venisse applicata alla nostra nazione e si pronunciò, anziché della Monarchia, a favore della Repubblica Democratica che, sicuramente, è la migliore forma di governo che uno Stato possa avere.
Sono passati oramai tantissimi anni e la Democrazia resiste ancora oggi, anche con quelle devianze che hanno avuto il sopravvento sovvertendo il significato stesso della parola.
Come funziona: ogni 5 anni si svolgono le elezioni nazionali per la scelta, attraverso un voto che dovrebbe essere libero, degli uomini che si sono proposti per guidare il paese e per portare avanti le istanze della parte della nazione che li ha eletti.
La nostra campagna elettorale, invece, si svolge con candidati che chiedono voti in funzione di rapporti familiari o di amicizia, di fittizie possibilità di dare lavoro o di assicurare benevolenza e, comunque, non ostilità su argomenti di interesse discutibile, forse più personale che sociale e dico questo non riferendomi ad una parte politica anziché ad un’altra ma, per usare una parola oramai di uso comune, bipartisan . Nel momento in cui questi personaggi vengono eletti diventano automaticamente distributori di favori e di posti di lavoro che dispensano in funzione, non delle reali capacità dell’individuo, ma della capacità contributiva di voti.
Ecco dove sta la devianza: quelli che dovrebbero portare avanti le nostre istanze perché da noi delegati con il voto, diventano i nostri padroni a cui rivolgerci e mendicare un favore (lo dico con equidistanza da qualunque forza politica). Gente che spesso viene indagata per reati della peggiore specie, dall’interesse privato alla turbativa d’asta o perché collusi con la malavita.
Ricordo adesso le parole dette da un uomo politico nel film “ Caccia ad ottobre rosso” e recitavano in questo modo: “ Io sono un politico e per definizione bugiardo e mascalzone, se mi chino su un bimbo non lo faccio per fargli una carezza, ma per rubargli le caramelle”.
Il vero scopo nobile della politica si è perso nei meandri della burocrazia ( grande piaga della democrazia) e dell’interesse particolare, abbandonando così la sua funzione precipua, “ il benessere del popolo”, e ci siamo talmente assuefatti a questa cosa che non riusciamo più a meravigliarci od ad indignarci per qualsiasi porcheria i governi attuino tralasciando l’interesse della nazione.
Neanche il Prof. Monti, non politico di professione, ma tecnico, si è allontanato di tanto da questo modo di pensare e di agire ed ha massacrato la classe meno abbiente favorendo invece le banche e quella classe che di favoritismi non avrebbe neanche bisogno, visto che di soldi ne ha a bizzeffe e che sta chiudendo le proprie attività nel nostro paese (aprendole in paesi dove hanno maggior utile ed accoglienza, per poi mandare i prodotti in Italia) mortificando la capacità produttiva di una nazione che non sa come sopravvivere oramai. Una manovra fiscale come quella che ha fatto il Prof. Monti avrebbe potuto farla anche Topo Gigio.
E’ cecità o si vuole arrivare a qualcosa di diverso ?
Togliendo denaro alla nostra gente sotto forma di imposte o, nel caso degli industriali, non facendo percepire reddito ai propri dipendenti, l’economia dello Stato va a farsi fottere, si riducono i consumi, le entrate fiscali a causa dei mancati guadagni, aumentano le spese ed i prodotti e tutto questo genera una nuova povertà, indegna di una nazione civile come amiamo definirci. Questo il Prof. Monti dovrebbe saperlo !!!
Devo dire, purtroppo, che questo modo di pensare ha contagiato anche i nostri “uomini politici paesani“ che senza porre indugi hanno aumentato incondizionatamente ed unilateralmente, tutte le imposte e le tasse senza dare alcuna spiegazione del perché.
Avremmo preferito che, attraverso una pubblica assemblea, si fosse reso noto alla cittadinanza quali sono le necessità reali che hanno portato a questi aumenti sostanziosi, se non si riesce con l’incassato a pagare le spese dei rifiuti solidi urbani, piuttosto che l’acqua o di altro e se ci possono essere altre vie alternative per recuperare denaro (per esempio scovare evasori di quanto detto) ed anche se questo denaro andrà a finire nei capitoli di spesa relativi o se servirà a finanziare altro.
Avrebbe potuto essere un momento di vera democrazia, di chiarezza, di partecipazione popolare su temi che investono direttamente il popolo, ma non lo è stato e si è persa un’occasione, purtroppo!
Si è trattato di superficialità, di dimenticanza o di arroganza?
Però il momento democratico c’è stato! La solita riunione che le nuove amministrazioni, appena insediate, fanno con i commercianti e gli artigiani per capire di cosa, questi poveri cristi, hanno bisogno. Tutto falso, aria fritta!!! Primo perché le amministrazioni si sono proposte presentando un programma dove avevano ipotizzato soluzioni a tutti i mali che affliggono il paese (sigh!!!) e quindi anche quelli relativi a queste due branche dell’economia paesana e poi se, attraverso gli interventi di maggiorazione di imposte e tasse, si toglie denaro dalle tasche dei cittadini, chiaramente si riduce abbondantemente la capacità di acquisto degli stessi togliendo ossigeno alle attività produttive. Per i commercianti ed artigiani sarebbe stato più opportuno la riduzione e non l’aumento delle tasse. E quindi alla fine,
cui prodest ?
Chi ci guadagna a mortificare la produttività , fattore attivo della società e di un bilancio, a favore dei servizi che rappresentano una negatività di bilancio e che, anche se giusto averli, probabilmente, non potremo più permetterci non avendo più soldi per pagarli?
Vogliamo chiedere a questa amministrazione ed al Sig. Sindaco di essere più trasparente e di far partecipare attivamente la cittadinanza alla gestione della cosa pubblica anche attraverso referendum ed attivarsi affinché il bilancio del nostro paese ritorni ad essere quello che era nel 1994 e cioè di 14 miliardi delle vecchie lire e non di 5,2 mln di euro e, soprattutto, che lo stesso presenti delle voci attive che non vengano solo da trasferimenti dello Stato o da imposte o tasse di vario genere.
Voglio augurarvi buon lavoro, sperando che le necessità della gente che tanto avete cercato e voluto abbiano la primarietà ed il sopravvento su tutto il resto!!!!!!
Valerio Scibetta
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! "
Arancia Meccanica: distopia o prefigurazione della realtà d’Italia e del mondo intero?
Criminalità, sociologia, psicologia, manipolazione di massa, strumentalizzazione.
Ultraviolenza, droghe diluite nel “latte più”, il “dolce su e giù”, politica corrotta, società degenerata, manipolazione del pensiero. Stanley Kubrick con la sua “Arancia Meccanica” (A Clockwork Orange) nel 1971 ha realizzato un capolavoro cinematografico mondiale dalla trama polivalente e poliprospettica che sviscera l’uomo singolo e la collettività tutta . Alex De Large e i suoi Drughi sono ragazzi che vivono in una Londra degli anni ’60, amano oltremisura ogni forma d’illegalità e trasformano un giorno ordinario in un’esaltata giornata di criminalità, all’insegna di rapine, abusi sessuali, vandalismo e cruda violenza. La concitata scena trova l’acme nell’omicidio commesso dal protagonista e da lì seguiranno il carcere e il “trattamento Ludovico”, una cura rieducativa che costringe l’assassino a provare dolore fisico ogni qualvolta si vuol provare a commettere i reati propri del suo animo criminale. Finita la cura, Alex ha crisi d’identità, è rigettato da madre e padre, emarginato dalla società e sfruttato dalla corruzione della politica che strumentalizza l’intera vicenda per mera propaganda pubblica. Psicologia, sociologia, politica, criminalità, manipolazione del pensiero. Il film è classificato anche come fantascienza apocalittica poiché si preconizza un futuro devastato e degradato. Ma proiettando questo capolavoro della storia del cinema in epoca contemporanea, Kubrick era forse onniveggente? La distopia e la fantascienza che aveva trattato corrispondono a realtà? La società contemporanea non è forse costernata da esasperata violenza e stupri? Il vandalismo è all’ordine del giorno. Omicidi? I criminologi non sanno più come interpretare gli incessanti reati e come rispondere ai vari inviti televisivi. Prima di assistere al processo in tribunale, ci somministrano dosi sovrabbondanti di processi mediatici e noi accettiamo come verità incontrovertibile ogni parola pronunciata da opinionisti e presentatori. Il sesso converge in ogni argomento e gli uomini non sanno che pronunciare continui doppi sensi, ovviamente ripresentando culturalmente la latinità del grande teatro plautino. L’uso dell’intelletto è facoltativo e gli ormoni dominano sui neuroni, causando un esasperato desiderio sessuale. La violenza è talmente ordinaria, che è filtrata da telegiornali e giornali in maniera superficiale, insensibile e addirittura normale. Siamo così abituati ad aggressività e prevaricazione che scoppiano quotidianamente combattimenti improvvisati che trasformano feste in campi di battaglie e amici in alleati di guerra. E noi? Le zuffe non ci indignano, ma, invece, assistiamo come i Romani assistevano alle lotte tra gladiatori e animali, quasi come tifosi parteggiando per una parte o per l’altra. La politica? Dante nel VI canto del Purgatorio, malgrado i secoli passati, con l’apostrofe all’ Italia non ha descritto una condizione storica, ma universale della penisola, priva di guida politica, intrisa di corruzione e ostilità tra gli abitanti. Infatti la situazione attuale è simile, anzi peggiore. Non abbiamo guide, nessuno incarna credi politici, ma si mira solo al rendiconto personale, ignorando ogni interesse comune e collettivo. La manipolazione del pensiero e la strumentalizzazione sono così integrate nel mondo che non ci accorgiamo delle trame, degli intrecci e dei fili che tessono gli uomini di potere. Non ci accorgiamo di come manipolano le nostre menti anche le più banali pubblicità. Molto lontani dalla realtà, troppo dalle verità?
Bianca Rumore
S.O.S salute: ospedali sempre meno in grado di rispondere alle necessità dei cittadini
Liste di attesa infinite, ospedali senza personale competente, interventi per i quali bisogna attendere troppo tempo, ticket carissimi: ebbene sì, è proprio questa la situazione degli ospedali italiani. L’Italia, uno stato apparentemente così avanzato e moderno, permette che i propri cittadini muoiano per errori banali commessi da medici incompetenti nel corso di varie operazioni. Ma la cosa peggiore è l’attesa estenuante che devono vivere tutte quelle che persone che necessitano di un intervento chirurgico, e non importa quanto questo possa essere urgente perché, se non si è pronti a pagare, bisogna aspettare la “fila”. Eppure l’Articolo 32 della Costituzione italiana riporterebbe questo: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.” La salute è vista quindi non come qualcosa che interessa il singolo individuo, ma tutta la popolazione, qualcosa che deve essere garantita dallo Stato. Intanto le persone continuano a morire anche per i ritardi delle autoambulanze, le cui postazioni sono troppo lontane, molte di queste sono state chiuse e, di conseguenza, si ritrovano troppi paesi a fare capo ad un’unica ambulanza. Ma lo Stato, non contento delle chiusure dei 118 e trovandosi costretto a dovere risparmiare visti i tempi in cui viviamo, decide dunque di chiudere anche gli ospedali. Apparentemente sembrerebbe una cosa lontana dalla nostra realtà, ma vorrei ricordare il caso dell’Ospedale dei Bianchi di Corleone: una struttura in cui stanno rimuovendo posti letto, reparti e personale. Possibile che per un urgenza ci si debba spostare verso Partinico, il cui ospedale è il più vicino? È inammissibile che le donne del nostro territorio, comprendente circa 100.000 persone, si trovino costrette a partorire a Partinico a causa della chiusura del reparto di maternità. Com’è anche inaccettabile che in quest’ospedale ci sia un solo medico chirurgo. Dobbiamo realmente accettare passivamente questa intollerabile imposizione? La strada verso l’ospedale di Partinico non è soltanto lunga, ma anche piena di curve e di fossi. L’Ospedale di Corleone farà la stessa fine di quello di Palazzo Adriano? La strada sembra quella giusta, ma nessuno si ricorda che così si verrebbe meno a quanto sancito dall’articolo 32 (qui sopra citato). La crisi è presente, ed è evidente, ma lo Stato non può permettersi di giocare con la salute delle persone. È la salute dei cittadini ad essere in gioco, e di conseguenza lo è anche la loro vita. Certi casi hanno bisogno di un intervento rapido e tempestivo, cosa impossibile vista la situazione in cui viviamo. La costituzione italiana è una delle più belle, ma spetta a noi fare in modo che le sue leggi vengano rispettate!
Rossana Ragusa
Finanziaria 2011: chiudono le emittenti televisive private.
A Partinico nasce il comitato “SIAMO TUTTI TELEJATO”
La TV di Pino Maniaci protesta contro la chiusura.
Il 24 Settembre 2011, a ormai 12 anni dalla sua fondazione, Telejato scende in piazza, in un sit-in di protesta contro l’ultima legge Finanziaria, che prevede la chiusura di tutte le televisioni comunitarie (250 circa in tutta Italia) e la vendita ad altissimo prezzo delle frequenze televisive, ad eccezione della Rai, Sky e La7, che invece potranno continuare a disporre gratuitamente delle loro frequenze. Una legge inaccettabile per Pino Maniaci, direttore di Telejato, e per Alberto Lo Iacono, suo fondatore, che per anni hanno portato avanti la loro rete televisiva, proponendo la costante denuncia dei soprusi di stampo mafioso e non lasciandosi intimidire dalle continue minacce e dai numerosi attentati con i quali sono stati presi di mira.
La protesta, iniziata davanti la sede di Telejato, ha visto i partecipanti impegnati, durante la mattinata, in un volantinaggio per le vie del paese, con lo scopo di ottenere la solidarietà della cittadinanza partenicese contro la chiusura dell’emittente. Il corteo si è poi spostato in piazza, dove si è tenuta un’assemblea popolare in cui sono intervenuti anche Graziella Proto, dell’Associazione “Rita Atria”, il professore Salvo Vitale, amico e compagno di Peppino Impastato, Riccardo Orioles, giornalista e direttore del mensile Casablanca, il giornalista Rino Giacalone e il regista Pietro Orsatti. A conclusione degli interventi è stato costituito il comitato “Siamo tutti Telejato”, con l’obiettivo di promuovere attività e manifestazioni contro la soppressione della rete televisiva privata.
Tutto questo è avvenuto però nell’indifferenza più totale dei cittadini partenicesi, che in numero molto ridotto hanno preso parte alla manifestazione. E questa sì che può essere definita la più grande sconfitta per Pino Maniaci, per Telejato e per tutti noi. Quella del mese scorso è stata una protesta che molti potranno ritenere inutile, considerato che Telejato, o per meglio dire la sua frequenza, è già stata venduta. Ma in quell’occasione si è fatto un passo importante: si è dimostrato che, anche se poche, ci sono persone che ancora credono in Telejato e in una informazione LIBERA che non risponde a padroni e non si piega alle intimidazioni.
Alessandra Gaudiano
Centinaia i bisacquinesi che lavorano fuori. La disoccupazione assilla da anni il nostro paese.
Nessun futuro qui? E che fine faranno le nostre radici?
Scarse le possibilità di un avvenire per i giovani.
L’emigrazione è obbligatoria
Bisacquino, comune di modeste dimensioni, scarsamente popolato e ricco di tradizioni folkloristiche, ormai da decenni è assillato dalla disoccupazione che, come diretta conseguenza, vede centinaia di bisacquinesi costretti ad emigrare. A partire dagli anni ’20, e fino ai ’50 e ’60, la stragrande maggioranza della popolazione partì per il Venezuela; successivamente le principali mete furono, invece, Germania, Svizzera e Francia. Proiettandoci, piuttosto, ai giorni odierni la maggior parte dei giovani, studenti e non (non è doveroso restringere il campo ai soli universitari), partono per il Centro Italia o per il Settentrione. La disoccupazione è sì la causa scatenante, ma a sua volta qual è la fonte di tanta aridità economica? La realtà di Bisacquino del 2011, purtroppo, eticamente e psicologicamente è la stessa di quella del 1920. L’arretratezza mentale non ha fatto altro che riflettersi sul piano economico, ormai arido, dove sviluppo e progresso sono esigui, quasi inesistenti. Siamo realistici: come si può avere un futuro solido, stabile e magari, fantasticando un po’, proficuo in questa ristretta realtà? Il materialismo della società ci obbliga ad ampliare i nostri confini, a gettare lo sguardo oltre il nostro paesino arretrato e forse per questo così calorosamente legato alle tradizioni popolari. In molti hanno deciso, volontariamente oppure per esigenze economiche, di scappare. Eppure le nostre strade, i nostri cortili, le intricate scalinate e viuzze si affollano, soprattutto nel periodo estivo, e più precisamente ad Agosto per la rinomata “Quindicina”, di emigrati bisacquinesi. Forse molti di essi non hanno trovato la loro casa altrove e ritornano alle origini, legati, quasi in maniera spontanea e naturale, alle
proprie radici. Dobbiamo rimembrare le nostre radici e ripercorrere i territori natii per ricordare chi siamo? Non sappiamo in cos’altro identificarci? Bisacquino ci resterà nel cuore? Ai posteri l’ardua sentenza!
Bianca Rumore